Carlo Emilio Gadda: i mùsici
Brani scelti: CARLO EMILIO GADDA, Il castello di Udine, Torino, Einaudi 1961, p. 131-134.
"La lettera aperta che un sottosegnatosi Rolf ha diretto al Supremo Magistrato Civico l'ho avuta a leggere naturalmente anch'io, con duplice gaudio: quanto alle motivazioni e quanto alle proposte. L'idea di traversare la croce e la vipera con una motocicletta rampante nella divisa della Comunità nostra mi pare condegna al tutto e del secolo e della città: dove il fare storno contro ai pacifici elevar baccano contro a tutti, o sia con i mezzi ordinarii della natural costituzione, gutture e idioma de' suoi cittadini, o sia con li artefatti delle macchine, pifferi, e petardi loro di ogni generazione, par essere il segno del novello «dinamismo», come dicono, e della novella bravura dalle brache larghe.
Non difettano, in alcuni scritti già da me dati alle stampe, notazioni diverse pertinenti a' milanesi frastuoni e alle lor molte e massime qualità: le quali note sono intonate tutte in quella benevolenza che ha il savor della sénapa. Perlocché e con l'autorità che può derivarmi dall'aver già conosciuto questo tema e con quella, che può essere aggiunta, dall'aver io nervi particolarmente offesi dalla gazzarra, desidero accreditare qualche mia sentenza, con riferirla a quelle elegantissime del prefato scrittore.
Lasciate adunque le motociclette, di che egli incomparabilmente seppe scrivere, e lasciato altresì l'osservare, che già fu fatto in passato, come la tromba delle automobili milanesi pare la siasi eletta in una tonalità particolare, che facesse la maggior guerra pensabile ai timpani e all'anime, lascerò altresì dire del grammofono-digestione e del pianoforte-signorina, dappoiché il nostro diritto pubblico non ha fino a questa parte comminato sanzioni di verun genere contro a simil sorta di mùsici: ed è inutile biasimare con parole quello che non si può condannare con i fatti.
Lasciamo adunque che le ragazze le dùrino tredici anni alla sonatina del Gatto balbuziente e quattordici alla sonata dell'Uccello zoppo: gli è cosa nota da tutti che quando infine le si meneranno all'altare, il loro clavicembalo rinsavirà in un tratto, e per tutto il resto de' giorni loro. Quanto al grammofono, dicono tutti che gli è una bellissima cosa e meglio che mai tromba fosse, e venuta di America: e che Guarniero nostro cremonese ed Amati, Gasparo di Salò e Stradivario non possono più contro a lui nulla. Amen.
Ma quel dove non vedo quale cagione di clemenza possa più sovvenirci, è il bruttissimo tantarellare degli organetti a ruote e il malissimo chitarrare di certi garzonacci che a ora indebita fanno prova de' talenti loro contro al giusto sonno di chi meno beve e meno canta nella notte, e più ha lavorato nel giorno.
Se questa duplice sorta de' mùsici milanesi avessero nell'esercizio della sua arte un cotal rudimento di alcuna perizia sia pur prisca e di popolo, potrebbesi tal volta indulgere alla estrosità giovenile degli uni e alla caritatevole fortuna degli altri, con qualche temperante licenza delle buone regole. Come vidi fare a Zara d'Italia in una brevissima ora della breve notte, che una compagnia di giòveni lungo il bastione del mare se ne venivano cantando secondo un modo loro bellissimo e veramente musicale, con variazioni e passaggi e rimandi delle voci e poi ripresa piena del corale, che sol la sagacità d'un'orchestra di concerto grosso potrebbe rifar quel canto. E allora io malato dalla mala musica e gutturale bestialità de' nostri quadrivii mi fermai rapito in ascolto e poi li seguitai senza dar loro a dividere, per udire quel canto. E dopo molta considerazione delle perfidie marine e terrene in quel mare e in quella terra, mi consolai, dentro ai muri di messer Michele Sanmichele, da Verona, in quel canto. Ma era cosa dove l'ingegno naturale e uno evidente e sanissimo studio aveva dato ali all'anima e anima all'ali. E mi dicono e so che in molte terre venete così cantasi nella notte: ma non è il caso di questi strapazzati bestioni nostri, di che sopra dicevo. Che gli uni e gli altri, con girare la mano sul cembaletto o con pizzicare il budello, son così duri e pigri, che un asino quando lui suona di maggio, fa meglio suoni che loro, sia davanti che dietro. Nessun ardore, nessuno studio, nessun amore verace per quell'arte che tanto ne consola e piace, insino quando altro ne affatica o ne tedia: ma una sonnolente pigrizia, un torpido e roco tastare, come di cieco alla ventura della sua notte, o un levar di voci di chi ama sbravazzare per via, e finge a se medesimo d'esser gran musico da tirar le donne in finestra, ed è solo un pessimo disturbatore.
Per quelli dell'organetto, da poi che spesso le infermità o qualche arto manco paiono averli condotti ad incorrere in una siffatta musica, potrebbesi dar loro licenzia ne' sobborghi, dove deliziare chi mangia dall'osteria. O se altrimenti non accadesse loro di poter accattare di che vivere, diesi più tosto lor licenzia e brevetto di pur andare accattando per la città, ma senza musica: sì con onesto distendere della mano, esibizione delle gravi piaghe o infermità, e supplice volger degli occhi inverso a quegli abbienti a che sogliono volgersi, sì da loro sommuovere i vìsceri in un obolo che sarà sommamente grato al Cielo e a quelli accattanti medesimi, come pronto e sicuro ed intero, senza intermedio d'altre caritatevoli confusioni e senza bollo né registro.
Io non disdegno veder i cenciosi lungo le colonne eccelse de' templi e sotto ai ponti de' fiumi: perché considero anche che potrei per sorte esser fra loro. E i maestri nostri del tempo di nostra migliore arte li hanno raffigurati nelle loro incomparabili tavole protette dai Santi, medicati dalle Sante, beneficati dalle vedove, serviti dagli Scalzi, visitati da sommi pastori, accompagnati dai cani, e ultimamente ricoverati nella misericordia di Dio infinita, conchiusiva d'ogni loro e nostra miseria.
Lasciamoli ora che vadino frammezzo i tram elettrici e che ridottisi a proda di marciapiede con tutti i lor cenci possino distendere la trèmula mano: ma non fàccino musica. E noi avremo carità per loro, se eglino la aranno avuta per noi".
da La Rivista
Libri antichi di letteratura
Le commedie di Terenzio: Terentius - Comoediae sex - 1753 (stupenda legatura, incisioni di Gravelot)
TERENTIUS PUBLIUS AFER. Comoediae sex, ad optimorum exemplarium fidem recensitae. Accesserunt variae lectiones e libris MSS. et eruditorum commentariis depromptae. Paris, apud Natalem le Loup et Jacobum Merigot, 1753SCHEDA COMPLETA
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