Perché l'amicizia di Ulisse e Argo non finirà mai - di Carlo Picca

Perché l?amicizia di Ulisse e Argo non finirà mai - di Carlo Picca

A Frick e Nino, amici per sempre

Quando perdi per sempre il tuo cane l'emozione ti pervade, perché dopo tanti anni trascorsi assieme qualcosa di te va via, una parte di viaggio, una fetta importante di vita, specie se tu e lui vi capivate e bastava un niente per farlo.

C'è un passo dell'Odissea, nei versi 290-327 del canto XVII, struggente e illuminante che descrive il momento in cui il fedelissimo amico spira nell'etere. Qui Ulisse, tornato in incognito ad Itaca dopo anni, parlando con il guardiano di maiali Eumeo, improvvisamente vede un cane sdraiato là vicino che alza il muso e rizza le orecchie. È Argo, che l'eroe aveva da sempre nutrito e che poi una volta partito per Troia aveva smesso di godere.

Non esternò nulla, si tenne accorto nel mantenere nascosta la sua vera identità, e così girò il capo e si asciugò una lacrima, cercando di non farsi vedere dal custode, e con uno sforzo sovraumano dissimulò quanto di intenso stava provando. E mentre Ulisse non ha possibilità di parlare, Argo al contempo non riesce a muoversi a causa della sua vecchiaia.

Così la grandezza di questo passo sta proprio nel fatto che, non potendo celebrare quel sentimento che li affratella, proprio in questo comunicarsi nel silenzio, nella loro intimità prende fuoco quell'amore che sentono l'uno per l'altro e che non ha mai smesso di bruciare, immortalando così, in un ponte senza fine, la loro pura amicizia.

Il cuore di Ulisse batte così forte che qualcosa tuttavia deve dire per liberarsi dall'affanno e allora, per paradosso, lui che lo conosceva, si fa raccontare da Eumeo chi fosse, per vederlo ancora una volta correre, consapevole che la bellezza di questi esseri consiste nel fatto che ci insegnano il gusto di amare senza mai risparmiarsi e pretendere nulla in cambio. Sono così, stelle polari con un ardore che comunica più di ogni altra parola e angeli custodi, senza voce, con cui si può instaurare un rapporto magico e eterno.

“Eumeo, è curioso vedere quel cane, là sul letame! Ha un corpo splendido, ma non si capisce se, a parte la bellezza, esso fu anche rapido nella corsa, oppure se è solo uno di quei cani da salotto dei principi”.
“Purtroppo è il cane di un uomo che è morto lontano dalla patria. Se questo cane fosse rimasto, per bellezza e forza, come lo lasciò Odisseo quando partì per Troia, rimarresti incantato a guardarlo, per la sua magrezza e agilità. Anche nel più fitto dei boschi, nessun animale che vedesse gli sfuggiva ed era bravissimo nel fiutare la selvaggina. Ora è malridotto, sfinito dalla vecchiaia e le ancelle, indolenti e sleali, non ne hanno cura”.

Dopo questo piccolo scambio di battute, facendosi forza, Ulisse si avviò nella casa e proseguì diritto verso la sala tra i Proci, i nobili pretendenti di Penelope. Così i due si erano rivisti dopo vent'anni. In quel momento la Moira della morte oscura afferrò Argo, e così avendo finalmente sentito Odisseo per un'ultima volta, dolcemente poté morire.

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