Perché il Decameron è un'opera grandiosa ed attuale - di Carlo Picca
Chi ha letto il Boccaccio, uomo dotato di grande cultura classica, nonché autore dalla immensa creatività letteraria, facilmente giudicherà singolare e sola al mondo l'invenzione e l'opera sua per eccellenza: quella del Decameron. E questo per la diversità della materia che sapientemente affronta nelle sue dieci giornate di letture a voce alta di novelle, alternando in esse una miscela, più unica che rara, di stimolanti riflessioni ed intense e vere emozioni, che passano, con grande maestria narrativa, dall'essere descritte con tono grave fino a quello più sensuale.
La raccolta di novelle contiene infatti tutti gli stati d'animo che agli uomini possono accadere: amore, odio, paura, fiducia… ed esprimono tutte le nature e le passioni degli uomini, finanche narrano le tante astuzie ed ingegni degli umani. Come numerose sono le novelle del Decameron che ci parlano di amori contrastati ed impossibili. Una delle più celebri a tal proposito è quella di Lisabetta da Messina. Sfortunata protagonista della quinta novella della quarta giornata, narrata da Filomena. Lisabetta è vittima dei fratelli i quali uccidono il giovane di cui è innamorata, Lorenzo.
Quando lui le appare in sogno e le rivela il luogo in cui è sepolto, la giovine dissotterra la testa dell'amato e la nasconde in un vaso di basilico. I fratelli, accortisi che la ragazza ha l'abitudine di piangere ogni giorno vicino alla pianta, portano via il vaso e a Lisabetta non rimane che lasciarsi morire. Una novella intensa e straordinaria che anticipa di secoli i temi dell'amore e delle passioni romantiche e dove nello specifico, l'amore, seppur ostacolato, in questo caso dalla famiglia, rimane saldo nonostante la tragica sorte a cui va incontro.
Ma questa è solo una delle tante novelle del Decameron che meritano d'esser lette. Il Decameron sin da principio dalla sua pubblicazione si presentò come un'opera straordinaria ed avanguardistica. Infatti questo libro che narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, siamo nel 1348, suscitò per la sua qualità grandissimo interesse, e la quale ne decretò fin da subito la fortuna e la fama.
Fortissima fu anche la censura che subì, perché queste novelle che a turno vengono raccontate, sono sì di taglio spesso drammatico o umoristico, ma anche hanno frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Paradossale la proibizione se si pensa allo scopo del libro, il quale fine senza mezzi termini appare infatti nelle pagine conclusive dell'opera. Ovvero tutte le storie avevano il proposito di generare igiene spirituale e fisica fra i partecipanti a questo laico ritiro in villa e di conseguenza farlo anche nei confronti di tutti i lettori dell'intera opera.
Questo per vivere la crisi della Peste che imperò durante il periodo in cui la villa ospitò i partecipanti, come un momento di crescita personale e riscoperta ed attaccamento ai valori più autentici e fondamentali, attraverso una meditazione profonda, causa forzata la mancanza d'azione e di spazio, fino a partorire un sentimento di continua fratellanza e continua concordia da far vivere al meglio fra loro, oltre quella grave malattia che stava imperando allora fra gli uomini.
Un intento che pare essere stato portato a compimento nei partecipanti e che può essere un monito anche per noi per avere un sentiero col quale affrontare questo difficile periodo.
Carlo Picca > blog
[© Copyright Libriantichionline.com]