Carlo Emilio Gadda - Il Savonarola di Roberto Ridolfi
Brani scelti: GADDA CARLO EMILIO, Il Savonarola di Roberto Ridolfi, in «L'Osservatore Politico Letterario», anno XX, (1974), n. 10, pp. 37-40.
[Questa luminosa recensione fu scritta da Gadda nel 1952 per una presentazione alla radio della Vita di Girolamo Savonarola, che usciva allora per i tipi di Angelo Belardetti nella sua prima edizione. Rimase poi inedita fino alla pubblicazione nella rivista diretta da Giuseppe Longo - sinora l'unica -, che scelse di pubblicarla proprio l'anno dell'uscita della celebre biografia del frate nella sua quarta edizione (Firenze, Sansoni, 1974), accresciuta, ampliata e - per l'A. - definitiva. É un breve, straordinario affresco dell'opera ridolfiana - cui il biografo attese per oltre vent'anni di studi - scritto con quell'impareggiabile chiarezza di concetti ed eleganza di stile che unanimemente va riconosciuta all'ingegnere milanese, il quale, seppur succintamente, ci narra non solo del contenuto, ma anche dell'oggetto libro, in termini che meritano d'esser riportati in una bibliografia: «Due chiari, magnifici volumi, usciti da una stamperia fiorentina: i più nitidi caratteri e l'armoniosa "giustezza" dell'editoria classica, in veste, cioè in carta, da sfidare i secoli».]
"Angelo Belardetti, editore in Roma, ha offerto quest'anno agli studiosi di cose rinascimentali e italiane, e al pubblico dei leggitori di storia, il prezioso frutto di una lunga fatica: la Vita di Girolamo Savonarola di Roberto Ridolfi. Due chiari, magnifici volumi, usciti da una stamperia fiorentina: i più nitidi caratteri e l'armoniosa «giustezza» dell'editoria classica, in veste, cioè in carta, da sfidare i secoli.
Roberto Ridolfi, l'autore dell'opera, vi ha faticato vent'anni, dedicando alla propria formazione di storico, e agli studi sul Savonarola in particolare, le alacri fatiche di una vita. Al Ridolfi si devono, oltreché gli studi incessanti sul tema (che ha, come ognuno può comprendere, vaste ramificazioni italiane, in particolar modo fiorentine e romane), anche le ricerche originali di documenti in archivi pubblici e privati, massime (è ovvio) a Firenze. Egli ha dovuto e saputo dunque percorrere, e talora sommuovere, tutto l'itinerario e tutta la congerie documentale del secondo quattrocento.
«Il Ridolfi», ha detto assai bene Goffredo Bellonci, «discende da una di quelle vecchissime famiglie fiorentine che furono nobili prima di avere un titolo nobiliare, in quanto riassunsero nel proprio nome e nella propria insorgente fortuna, e quasi crearono, la vita e la storia di Firenze. Ha tra i suoi maggiori una Medici, discendendo egli ex filia dal Magnifico per diretta linea, e due personaggi di questa tragedia savonaroliana: quel Giambattista Ridolfi che fu seguace e consigliere del gran Frate, e quel Niccolò Ridolfi che fu messo a morte in modo iniquo come partitante dei Medici: un piagnone, dunque, e un arrabbiato, per usare i termini della lotta politica di allora». Del qual precedente storico, in chiusura della prefazione, fa l'autore stesso il commento: «So purtroppo che nessun beneficio potrà riceverne l'opera mia; ma, fra il serio e il faceto, voglio medesimamente augurarmi che da un'opposta eredità così fatta tragga il mio libro quella equanimità che deve essere il mezzo ed il fine di chi attende alle storie».
L'opera ch'egli ci presenta risulta, come detto, di due volumi: il primo (quattrocento pagine, ventiquattro capitoli) comprende la narrazione distesa e analitica, rigorosamente fondata su documenti, della vita di fra' Jeronimo. Il secondo volume contiene il capitolo venticinquesimo: un inciso, un «evidenziato» Ritratto nel quale si compongono in sintesi oltremodo viva e potremmo dire vivente quei dati - circa la persona, il carattere, la disciplina, gli studi, la costante condotta, la religiosità del Savonarola - che trascendeno la «avventura», cioè l'impreveduto quotidiano, che superano la «materia» del contingente biografico e sembrano immanenti al destino, cioè alla missione e al martirio.
C'è poi un'appendice che è, lo dice il titolo, un «Sommario delle fortune e del culto»: contributo essenziale di estremo interesse per la storia del cattolicesimo e della religiosità in Italia nel Cinquecento. Scriveva Alessandro de' Medici, arcivescovo di Firenze al granduca Francesco il 26 agosto 1583: «La memoria di fra' Gerolamo resurge, pullula et è più in fiore che mai stata sia; occultamente gli fanno l'Offizio come a martire, conservano le sue reliquie come se santo fussi; le sue immagini fanno in bronzo, in oro, in cammei, in stampa, e, quello ch'è peggio, li fanno le iscrizioni di Martire, Profeta e Vergine e Dottore. Io mi sono per l'addietro, per l'offizio mio, attraversato a molte di queste cose: ho fatto rompere le stampe, un fra' Bernardo da Castiglione che ne era stato autore e le aveva fatte fare, lo feci levare di San Marco, e fu messo in Viterbo dove si è morto».
Anche la fortuna risorgimentale è, seppur brevemente, ricordata: Tommaseo («del numero di questi nuovi piagnoni»), Carlo Capponi, «gentile e timida figura di studioso», Gino Capponi, Pasquale Villari, autore poi (1861) di quella grande Storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi «che si lasciava addietro di molto, per ampiezza di indagini originali e per una più retta interpretazione della dottrina, le monografie dei protestanti tedeschi e quella del francese Perrenz...». E arriva al Pastor (Storia dei Papi, voll. III) e alla sua trattazione, «generalmente non equanime»: «Il professore di Innsbruck s'era accinto a trattare una materia così difficile senza un sufficiente studio della vita del Frate e senza alcuna diretta conoscenza delle sue opere».
E arriva poi al Luotto e a Giuseppe Schnitzer; «il quale, dopo avere atteso per buona parte della sua vita a spianarsi il terreno e a prepararsi solidi fondamenti con una bella serie di Fonti inedite e di sode monografie, vi costruì su, finalmente, il magnifico edificio del suo Savonarola, cui dette l'ultimo compimento nell'edizione italiana del 1931».
Seguono, nel secondo volume del Ridolfi, le note ai venticinque capitoli, note fluenti in una specie di discorso parallelo al testo, tanto che (durante lettura) i due volumi vanno tenuti sul tavolino l'uno accanto all'altro: note oltremodo opportune e dilettose e probanti nella loro «tonalità» critica, a volte signorilmente polemica; rette, non meno che il testo, dal chiaro e sicuro criterio di uno storico di razza.
E ci piace di dover riconoscere al Ridolfi insigni doti di discettazione, avvincente fondatezza di giudizio, una misura equanime, una eminente dignità riflessiva. Egli porta nel suo lavoro quel senno, così chiaramente fiorentino, che è di certi grandi di sua gente: basterebbe fare il nome del Guicciardini (sempre citato con rispetto) e di Galileo Galilei. Poiché destino della fertile, anzi inesauribile, e si potrebbe dire bizzarra e in qualche caso vana, criticità fiorentina, fu quello di maturar di sé certi frutti così sapidi e pieni, così veri, così succosi del succo di buon giudizio, da farci tollerare e magari benedire financo taluni ingrati mordenti del terreno che li ha prodotti.
A queste doti di storico si aggiunge, nel Ridolfi, l'animo altamente religioso, partecipe di tutta la dinamica degli impulsi religiosi. Egli «intuisce», egli «sente», dopo averlo sia pure minutamente studiato, il suo personaggio e il carattere inevitabilmente drammatico della di lui missione. Non guarda e non giudica a freddo, con la disumana «obiettività» dei pedanti e dei dottrinari à tout prix, ma racconta da uomo, documenti alla mano, la storia di un altro uomo, del missionario e del martire. Indi la sua Vita di Girolamo Savonarola acquista il tono della narrazione serrata, probante, avvincente, che rotola di luogo in luogo e di momento in momento verso la catastrofe; che ci permette, dandole prelazione assoluta alla lettura, di trascurare almeno quaranta romanzi accatastati in veste di carta stampata sul pavimento.
Dal documento egli ha estratto il dramma che nel documento è contenuto. Una «difficoltà» delle più «spiacevoli», insita nella natura stessa del tema, si opponeva allo storico, al cattolico: possiamo emblematicamente chiamarla Alessandro VI, questa «difficoltà». Ma né lo storico né (tanto meno) il credente ha ritenuto bene di porvi riparo con le reticenze o con le acrobazie della pseudo-critica o della contro-storia. Ridolfi non sembra essersi conturbato a certe risultanze di certa storiografia filo-borgiana (per lo più straniera), né ancorato ai tradizionali riconoscimenti per il caso di Lorenzo. Ai Medici, e in ben più grave misura al Borgia, egli dà quello che è dei Medici, quello che è dei Borgia. Il suo Guicciardini lo soccorre bene, almeno per la seconda occorrenza.
Il Ridolfi lumeggia poi con singolare acutezza il carattere «esegetico», non sovrannaturale, che il Savonarola riconobbe alle sue stesse profezie, considerandosi piuttosto un glossatore ed interprete della Bibbia che un miracolato veggente. Le cose profetate erano già nel messaggio biblico: fra' Jeronimo le applicava al suo secolo: una lettura illuminata dalla discriminazione del bene e del male, non un dono o una capacità soprannaturale, a contenuto escatologico.
Lo stile, infine, e il linguaggio elegantissimo di Roberto Ridolfi conferiscono alla sua lunga fatica di storico il premio «intrinseco» (oggi assai raro) della «qualità» letteraria. Lo storico risulta scrittore esemplare, e gliene va dato atto, in tempi che conoscono certa tetra e orripilante maniera anzi non-maniera dello scrivere: quando la scienza e la cattedra stessa, a volte, sembrano contendere ai più sprovveduti lo squallore e la miseria stinta del lessico, la sfilacciata stamigna del periodo. Di questo ulteriore dono del Ridolfi, di questa sua dizione così chiara e nobile, fiorentina e classica a un tempo, le nostre anime e i nostri orecchi gli sono particolarmente grati."