27 Gennaio - La nostra giornata della memoria
Brani scelti: RIDOLFI ROBERTO, L'amico tipografo, in «La Bibliofilia», Firenze, Leo S. Olschki (Tip. Giuntina), anno LXXVI (1974), disp. 1-2, pp. 143-144.
Auschwitz, 27 gennaio. Il 27 gennaio è la data scelta per ricordare una frattura irrimediabile. Non so dire, non lo so ancora bene, cosa sia per me, cosa significhi Shoah, sterminio degli Ebrei, deportazione, campo di concentramento. Non lo so perché più studio, più aumenta il divario, il distacco, più sento che la frattura è davvero irreparabile, e il dramma incomprensibile. E forse è giusto lo sgomento destato dall'incomprensione. Forse esso è segno che qualcosa è cambiato, che il dramma ci ha reso diversi, incapaci di comprendere fino in fondo, e perciò - si spera - incapaci di ripetere quel male, e la banalità del male.
Si susseguono in questi giorni i programmi televisivi, le pubblicazioni divulgative, le iniziative per ricordare. Ma non basta. Vorrei umanamente avere la certezza che ciò che si sa, che si scopre, che si vede nei filmati, che si legge nei libri, si risolve in un pianto interiore che sia segno e simbolo di un distacco realmente maturato dalla nostra civiltà nei confronti di ciò che ha generato quegli eventi.
Nel breve spazio di queste pagine, come sempre dedicate alla bibliofilia ed all'amore per i libri, vorremmo a nostro modo celebrare la memoria, riproponendo il ricordo di un uomo che sopravvisse ad Auschwitz, il grande tipografo Schulim Vogelmann, stampatore de «La Bibliofilia», e ciò attraverso le parole di Roberto Ridolfi.
"Il 9 giugno scorso, quando questo fascicolo de «La Bibliofilia» era già intieramente composto e in parte impaginato, è morto in Firenze Schulim Vogelmann, comproprietario e direttore della Tipografia Giuntina. Era nato a Przemyslany (Polonia) il 30 aprile 1903, ma da tempo immemorabile era vissuto e aveva operato in Italia. Nel settembre del 1928 Leo S. Olschki, allora proprietario della Giuntina, gli affidò la direzione della tipografia: da quel momento la sua vita, la mia e la vita di questo periodico s'intrecciarono in modo singolare. E qui la piena dei ricordi fluisce, irrompe, strabocca.
In quel tempo io collaboravo già a «La Bibliofilia», nata lo stesso anno nel quale sono nato; già avevo eletto, se non a stabile domicilio, almeno a frequentissimo recapito i cari brutti angusti locali di via del Sole, dove era pigiata la vecchia Giuntina. Si componeva a mano allora (bei tempi!) e c'era un proto, il Corsi, che portava certi occhiali spessi e cupi come fondi di bicchiere; pareva cieco come una talpa, ma quando aveva davanti a quei suoi poveri occhi una bozza o un foglio di macchina non gli scappava neppure una virgola che avesse una coda un po' smozzicata.
Ricordo come fosse ieri quando Leo S. Olschki mi presentò il nuovo direttore. Lì per lì, diffidente come sono sempre stato di ogni novità, non gli feci una buona cera. La cera poi divenne addirittura una pece, perché Vogelmann parlò di modernizzare la tipografia e di introdurre la composizione meccanica. Fu un giorno di lutto per me quando arrivò la prima linotype: io guatavo bieco il fatal mostro, oscuramente presago di un'infinita serie di refusi intrufolatisi a tradimento, di dispiaceri, di amaritudini. Cosicché più l'innovatore mi colmava di gentilezze, più gli battevo freddo.
Ce ne volle perché quel ghiaccio si sciogliesse! Ma poi vinse lui, e divenimmo amici: Vogelmann oltre la rara abilità professionale, aveva tali qualità umane, di cordialità aperta e generosa, di fiducia nella vita, nel lavoro, negli uomini. E gli uomini lo ripagarono bene. Venute le bestiali persecuzioni degli ebrei, i nazisti, che avevano trovato qui degni anche se non altrettanto feroci compari, lo deportarono con la famiglia in Germania. Martorizzati nei campi di sterminio, fra cui Auschwitz, in effetto gli sterminarono la famiglia. Egli scampò: soleva mostrare con una specie di orgoglio, come una corona nobiliare, il marchio che gli avevano impresso sul braccio: il n. 173484.
Tornato in Italia, tornò alla Giuntina, tornò a stampare «La Bibliofilia». La Giuntina frattanto era stata venduta dagli Olschki e Vogelmann n'era diventato, ante fata, comproprietario restandone direttore; de «La Bibliofilia» io ero diventato direttore per desiderio del caro Aldo Olschki: così i nodi sempre più si stringevano. Post fata il reduce, meglio direi il redivivo, si rifece una famiglia sposando la signora Albana Mondolfi Passigli, che gli fu affettuosa compagna fino all'ultimo giorno e che, acquistando poi le altre quote di proprietà, lo aiutò a sposare ancor più la Giuntina.
Tornò agli amici. La terribile avventura di Auschwitz non era riuscita a togliergli (beato lui!) la sua fede negli uomini. Anzi fu proprio dopo la grande bufera, nella quasi quotidiana consuetudine, che crebbe fra me e lui l'amicizia. Facetamente, volgendo in italiano il suo nome tedesco, lo chiamavo Uomo-uccello. Questo nome gli piaceva moltissimo e così usava annunziarmisi parlando al telefono, così si firmava sempre nei biglietti che aveva occasione di scrivermi. Una volta volle regalarmi un ombrello, mi pare quando, essendo egli in cerca di un alloggio, gli proposi l'acquisto della bella casa dove poi è vissuto e dove ancora vive la sua famiglia. Io lo ringraziai con certi versi che cominciavano: Che principesco bellissimo ombrello / m'ha regalato l'amico Uomo-uccello!, e finiva: passo il mio tempo a guardare il barometro / con la speranza che pioverà. Quei versiciattoli gli piacquero tanto che da allora in poi per lui ogni pretesto fu buono, per chiedermi che gliene scrivessi degli altri.
Ma amava sopra ogni altra cosa questa rivista che la Giuntina aveva stampato fino dalla nascita (nel 1899) e lui (come ho detto) dall'anno 1928. Dalle mani e dai torchi gliene erano uscite tante altre, e qualcuna non meno illustre, come l'« Archivio Storico Italiano »; ma questa era il suo orgoglio, il suo stemma nobiliare: non mi sarei punto maravigliato se avesse finito col metterlo sui biglietti da visita: Schulim Vogelmann stampatore de «La Bibliofilia».
Una sera dello scorso maggio, sull'imbrunire, mi telefonò. Io ero stanchissimo per avere cercato di tener dietro, « a tasto», come potevo, alla stampa del mio Savonarola (in una tipografia che non era la Giuntina, purtroppo), e stancamente risposi. Disse: «Volevo soltanto dirle che le voglio bene». Feci poi il conto: doveva essere proprio la vigilia del giorno che entrò in una clinica per semplici esami e dove invece, due settimane dopo, morì. Mi ha lasciato quelle ultime parole di affetto; item, lui, il reduce di Auschwitz, una lezione di ottimismo e di fede negli uomini, che non mi è riuscita ahimè d'imparare.
Scrivo di lui queste poche cose oggi, 12 settembre, ch'è anche il mio giorno genetliaco. Ho davanti a me una lettera che egli scrisse a Leo S. Olschki in quel lontano 1928: gli comunicava di essersi liberato da ogni impegno per assumere il suo posto nella Giuntina. Guardo la data: è del 12 settembre."