Giosuè Carducci - La leggenda di Teodorico
Poesie scelte: GIOSUÈ CARDUCCI, La leggenda di Teodorico (Rime nuove, 1906).
Sul castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno,
da la Chiusa al pian rintrona
solitario un suon di corno,
mormorando per l'aprico
verde il grande Adige va;
ed il re Teodorico
vecchio e triste al bagno sta.
Pensa il dí che a Tulna ei venne
di Crimilde nel conspetto
e il cozzar di mille antenne
ne la sala del banchetto,
quando il ferro d'Ildebrando
su la donna si calò
e dal funere nefando
egli solo ritornò.
Guarda il sole sfolgorante
e il chiaro Adige che corre,
guarda un falco roteante
sovra i merli de la torre;
guarda i monti da cui scese
la sua forte gioventú,
ed il bel verde paese
che da lui conquiso fu.
Il gridar d'un damigello
risonò fuor de la chiostra:
Sire, un cervo mai sí bello
non si vide a l'età nostra.
egli ha i pié d'acciaro a smalto,
ha le corna tutte d'òr.
Fuor de l'acque diede un salto
il vegliardo cacciator.
I miei cani, il mio morello,
il mio spiedo egli chiedea;
e il lenzuol quasi un mantello
a le membra si avvolgea.
i donzelli ivano.
In tanto il bel cervo disparí,
e d'un tratto al re da canto
un corsier nero nitrí.
Nero come un corbo vecchio,
e ne gli occhi avea carboni.
era pronto l'apparecchio,
ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore
e si misero a guair,
e guardarono il signore
e no 'l vollero seguir.
In quel mezzo il caval nero
spiccò via come uno strale
e lontan d'ogni sentiero
ora scende e ora sale:
via e via e via e via,
valli e monti esso varcò.
Il re scendere vorría,
ma staccar non se ne può.
Il più vecchio ed il più fido
lo seguía de' suoi scudieri,
e mettea d'angoscia un grido
per gl'incogniti sentieri:
O gentil re de gli Amali,
ti seguii ne' tuoi be' dí,
ti seguii tra lance e strali,
ma non corsi mai cosí.
Teodorico di Verona,
dove vai tanto di fretta?
tornerem, sacra corona,
a la casa che ci aspetta?
Mala bestia è questa mia,
mal cavallo mi toccò:
sol la Vergine Maria
sa quand'io ritornerò.
Altre cure su nel cielo
ha la Vergine Maria:
sotto il grande azzurro velo
Ella i martiri covría,
Ella i martiri accoglieva
de la patria e de la fé;
e terribile scendeva
Dio su 'l capo al goto re.
Via e via su balzi e grotte
va il cavallo al fren ribelle:
ei s'immerge ne la notte,
ei s'aderge in vèr' le stelle.
Ecco, il dorso d'Appennino
fra le tenebre scompar,
e nel pallido mattino
mugghia a basso il tosco mar.
Ecco Lipari, la reggia
di Vulcano ardua che fuma
e tra i bòmbiti lampeggia
de l'ardor che la consuma:
quivi giunto il caval nero
contro il ciel forte springò
annitrendo; e il cavaliero
nel cratere inabissò.
Ma dal calabro confine
che mai sorge in vetta al monte?
non è il sole, è un bianco crine;
non è il sole, è un' ampia fronte
sanguinosa, in un sorriso
di martirio e di splendor:
di Boezio è il santo viso,
del romano senator.
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