"Pinocchio in Benedetto Croce" di Giuseppe Cantele
Tra il 1903 e il 1904 Benedetto Croce scrisse i suoi "Saggi critici" su "La letteratura della nuova Italia", cioè quella letteratura fiorita dopo il 1860, vale a dire dopo l'auspicato compimento dell'unità della Nazione. L'opera, pubblicata in cinque volumi da Giuseppe Laterza, conobbe vasta fortuna e non mancò di suscitare ampio ed elevato dibattito.
Tra i vari saggi trova spazio un breve ma significativo scritto di quattro pagine e poche righe: Pinocchio. Poche righe, che sotto il profilo della critica letteraria possono anche lasciare tutto invariato, com'ebbe a dire nel 1954 Luigi Volpicelli, ma che valsero al già famoso burattino la patente di personaggio della letteratura italiana. Pinocchio è innalzato tra i grandi perché non è solo prodotto pedagogico, tappa tra le tante di una considerevole letteratura per bambini, ma piace agli adulti e piace perché, a dirla col Croce "è un libro umano, e trova le vie del cuore." E nemmeno Guido Gozzano, il grande e ancora poco amato poeta tardo-crepuscolare, trascura di citare ne "La Signorina Felicita" ovvero "Della Felicità", Pinocchio, che diviene metafora dell'io narrante e dell'intera umanità nella misura in cui questa è composta di tanti Pinocchi:
la canzone d'un grillo canterino
mi diceva parole, a poco a poco,
e vedevo Pinocchio e il mio destino...
Da allora molto si è scritto e detto sul burattino di Carlo Lorenzini, basti pensare ai titoli dei brani di critica letteraria sull'argomento: Il paese di Pinocchio, Il padre di Pinocchio, Il cuore di Pinocchio, La funzione catartica del comico in Pinocchio, e così via. E come non bastasse l'analisi puntigliosa di ambienti, tempi, comportamenti del burattino, c'è chi ha parlato di un Collodi regionalista, chi ha fondato un progetto di sistema educativo sulla vita elementare descritta nella favola, o chi ha letto le avventure di Pinocchio in chiave politica. A tal proposito il Croce stesso riporta un significativo brano del Pancrazi, forse l'iniziatore del filone politico del Pinocchio per adulti, il quale afferma: "Non ridete; ma dietro Pinocchio io rivedo la piccola Italia onesta di Re Umberto". Dimenticava il Pancrazi che quella piccola Italia onesta ha ucciso il suo Re?
Non mancò nemmeno chi, adombrando l'ipotesi di una lettura in chiave marcatamente religiosa, additò Pinocchio di sanfedismo o chi scomodò paragoni con l'impianto della Divina Commedia dantesca.
Saltano agli occhi con facilità le aberranti enfatizzazioni e strumentalizzazioni.
Molto più semplicemente, giova non poco tornare alle brevi e forse trascurate note crociane, ove si parla di vie del cuore, di umana debolezza, di dirittura morale, di gratitudine, di commozione, di furberia, di forza morale della bontà. Questo è Pinocchio, senza enfasi assurde, e questo suo affondare le radici nella coscienza popolare è il segreto della sua fortuna, al di là e al di sopra di ogni retorica, nella quale comunque il Collodi non fa mai cadere il burattino, a volte generoso e credulone, spesso falso e bugiardo, sempre e comunque vero.
Giuseppe Cantele