Seneca - Cerchiamo di tenerci lontani dai mali
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Brani scelti: SENECA, Lettere a Lucilio, I secolo d.C.
Cerchiamo, dunque, di tenerci lontani dai mali. A volte è il popolo che dobbiamo temere; a volte, se in una città vige la norma di prendere in senato la maggior parte delle decisioni, dobbiamo temere i senatori influenti; a volte singoli individui, cui è concesso dal popolo il potere sul popolo. Avere amici tutti costoro sarebbe faticoso: è sufficiente non averli nemici. Perciò il saggio non provocherà mai l'ira dei potenti, anzi la eviterà, come in navigazione si evitano le tempeste.
Diretto in Sicilia, hai attraversato lo stretto. Il pilota temerario sfida l'austro minaccioso che sconvolge il mare siciliano e crea pericolosi vortici; non tiene la rotta a sinistra, ma si dirige là dove Cariddi agita il mare. Il pilota più prudente, invece, chiede a chi conosce il posto la direzione delle correnti e quali indicazioni diano le nubi; tiene la rotta lontana da quella zona tristemente famosa per i suoi vortici. Così fa il saggio: evita i potenti che possono nuocergli, badando soprattutto a non darlo a vedere; parte della sicurezza risiede, infatti, nel non aspirarvi apertamente: se uno fugge una cosa, la condanna.
Dobbiamo, dunque, vedere in che modo possiamo metterci al sicuro dalla massa. Per prima cosa cerchiamo di non avere i suoi stessi desideri: tra rivali c'è sempre lotta. Inoltre non dobbiamo possedere nulla che procuri un grande guadagno a chi voglia sottrarcelo: porta indosso il minimo indispensabile di beni soggetti a furto. Nessuno versa il sangue di un altro per il gusto di uccidere, o almeno pochi; la maggior parte agisce più percalcolo che per odio. I banditi non assalgono uno che non ha niente con sé: anche in una strada insidiata da malviventi, chi è povero può camminare tranquillo.
Inoltre, secondo un vecchio precetto, ci sono tre cose da evitare con cura: l'odio, l'invidia, il disprezzo. Solo la saggezza può mostrarci come realizzare questo intento; è difficile tenere una giusta via di mezzo ed evitare che la nostra paura dell'invidia ci porti a essere disprezzati, e mentre non vogliamo calpestare nessuno, gli altri abbiano l'impressione che possiamo essere calpestati. Per molti fu causa di timore l'essere temuti. Abbandoniamo tutte queste posizioni: il disprezzo altrui nuoce quanto la deferenza.
Dobbiamo rifugiarci nella filosofia; questa disciplina ispira un sacro rispetto non solo alle persone oneste, ma anche agli uomini non del tutto malvagi. L'eloquenza forense e qualunque altra cosa possa avere influenza sul popolo, crea avversari: la filosofia, invece, pacifica e presa dalle sue occupazioni, non può essere oggetto di disprezzo, viene anzi tenuta in considerazione in tutte le professioni anche dagli uomini peggiori. Mai la perversità sarà tanto potente, mai si congiurerà a tal punto contro le virtù che il nome della filosofia non rimanga sacro e venerabile; bisogna però occuparsene con serietà e moderazione.
da La Rivista
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